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Rohingya in Bangladesh: una situazione sempre più tesa

Bild: DEZA

Dal 2017, un milione di profughi rohingya ha cercato rifugio in Bangladesh. Dopo l'iniziale solidarietà, la popolazione locale sta dando segni di stanchezza per una situazione sempre più complessa e difficile.

La lampada da lettura sulla scrivania di Hamid è collegata a una batteria d'automobile e permette al quindicenne di leggere anche quando il campo viene avvolto dalle tenebre. «Mi piacerebbe studiare in un altro Paese», spiega in un inglese rudimentale durante la nostra visita nel novembre 2022. La sua scrivania si trova in una baracca situata nel più grande campo profughi al mondo. Hamid fa parte dei rifugiati rohingya esiliati in Bangladesh. Come molti di loro, vive nei pressi della città di Cox's Bazar.

I rohingya provengono dal vicino Myanmar. Negli anni Ottanta del secolo scorso, il Paese li ha privati della cittadinanza. Questa minoranza musulmana è stata perseguitata dai militari, ha subito espropri forzati e, in diverse ondate, è fuggita in Bangladesh, Stato a maggioranza musulmana. Nel 2017, l'esercito del Myanmar ha colpito i rohingya con una brutalità senza precedenti, distruggendo interi villaggi nella provincia di Rakhine, nei pressi del confine con il Bangladesh. Dopo queste azioni, il Myanmar è stato accusato di genocidio e il caso è attualmente all'esame della Corte internazionale di giustizia.

Nel 2017, circa 750 000 rohingya sono fuggiti attraverso il confine con il Bangladesh. Molti rifugiati si sono insediati nelle foreste e sulle colline vicino a Cox's Bazar. E così, dove un tempo c'era un bosco, ora sorge un campo profughi. Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno fornito teli di copertura e le ONG hanno costruito strade di mattoni per agevolare la distribuzione degli aiuti umanitari. Ancora oggi, buona parte delle strutture sono fatte di bambù. Le piante non sono ricresciute e nella stagione delle piogge il campo si trasforma in una ampia distesa di fango.

Anche la capanna di Hamid è di bambù. Il ragazzo vive lì con la madre; il padre è stato ucciso nei massacri del 2017. Anche il pallone da calcio di Hamid è fatto di bambù. Qui tutto dovrebbe essere provvisorio, facile da smantellare, ma dopo sei anni ancora non è chiaro quale sarà il destino dei rifugiati. «Noi vogliamo tornare a casa!», dice Hamid.

Un tempo allievo modello della politica di sviluppo internazionale

Il Bangladesh è uno Stato in via di sviluppo e una delle nazioni più popolose del pianeta. Da anni è inoltre confrontato con il problema dell'innalzamento del livello del mare che gradualmente erode la costa. Nel 2017, il Paese ha aperto le frontiere e ha accolto a braccia aperte i profughi. Le immagini hanno fatto il giro del mondo e la comunità internazionale ha stanziato considerevoli fondi per affrontare l'emergenza.

Con il passare degli anni, la solidarietà iniziale della popolazione ha ceduto il passo a una generale stanchezza. «Diamo ai rohingya tutto ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere, ma non permetteremo loro di stabilirsi definitivamente qui, di sentirsi bangladesi», afferma uno dei responsabili del campo di Cox's Bazar.

¨Prima dell'arrivo dei rohingya, il Bangladesh era considerato un allievo modello della politica di sviluppo internazionale. Il Paese ha ottenuto la propria indipendenza dal Pakistan nel 1971 e negli anni Duemila è riuscito a superare addirittura il suo grande vicino, l'India, per quanto riguarda gli indicatori relativi all'istruzione e alla mortalità infantile. Nel 1991, il 58,8 per cento dei bangladesi viveva in condizioni di povertà, nel 2016 questa percentuale era scesa al 24,3 per cento. Attualmente, il reddito pro capite di 2500 dollari del Bangladesh è superiore a quello di Pakistan e India.

Tuttavia, il Paese è governato in modo sempre più autoritario dalla prima ministra Sheikh Hasina Wazed. I giornalisti sono perseguitati e nelle forze di sicurezza operano squadroni della morte che eliminano gli oppositori politici. La prima ministra ha definito i rohingya un «fardello» e persegue una politica che promuove l'isolamento invece che l'integrazione dei rohingya, una politica che gode di un ampio consenso in Bangladesh.

Pregiudizi e tensioni tra locali e migranti

I giovani possono frequentare solo le scuole nel campo profughi, il che significa che non hanno accesso all'istruzione superiore. Inoltre, alle donne e agli uomini non è consentito lavorare al di fuori del campo per evitare i conflitti con i lavoratori locali. Questa restrizione è stata introdotta a seguito degli scontri tra bangladesi e braccianti rohingya, causati dal fatto che questi ultimi sono disposti a lavorare per compensi molto inferiori. Nel frattempo, attorno al campo è stata eretta una recinzione. Le organizzazioni umanitarie attive sul posto cercano di sostenere sia i rifugiati sia la popolazione locale, appoggiando scuole e progetti ambientali affinché i residenti non si sentano svantaggiati rispetto ai profughi. Secondo Kamlesh Vyas, rappresentante dell'organizzazione umanitaria svizzera Helvetas, la convivenza funziona abbastanza bene, ma persistono i pregiudizi e le tensioni, soprattutto tra i giovani bangladesi. «Temono che i rohingya tolgano loro il lavoro. Per questo motivo offriamo loro opportunità professionali», spiega l'esperto.

La solidarietà nei confronti dei rohingya non è diminuita solo in Bangladesh, ma anche a livello internazionale. Anche i media hanno praticamente dimenticato questa crisi e si concentrano su altri eventi e Paesi, come la guerra in Ucraina, l'Afghanistan o i migranti che tentano l'attraversata del Mediterraneo. Nonostante il bisogno urgente, l'anno scorso le Nazioni Unite hanno raccolto solo 556 milioni di dollari quando ne servivano 881 milioni per fornire assistenza ai rohingya. Di conseguenza, il budget per le razioni alimentari nel campo si è ridotto drasticamente. A livello globale, l'importo pro capite mensile a disposizione del Programma alimentare mondiale è sceso da 12 a 10 dollari. Questo significa che la gente nel campo soffre la fame.

«Si verificano regolarmente degli incendi, ma non si sa chi li appicchi», spiega Kamlesh Vyas. Inoltre ci sono occasionalmente scontri armati tra gruppi di rohingya, esasperati dalle difficoltà, dalla fame, dalla mancanza di prospettive. Gli alloggi sono angusti e i campi sono sovraffollati, anche a causa dell'elevato tasso di natalità tra i rifugiati.

Prigionieri in mezzo al mare

In collaborazione con la dittatura militare del Myanmar, nel 2023 il Bangladesh ha avviato un progetto pilota per permettere il rimpatrio dei rohingya. I due Paesi stanno attualmente negoziando il rientro di un migliaio di rifugiati. All'inizio dell'anno, una delegazione di esuli desiderosi di tornare in patria ha visitato un campo di accoglienza in Myanmar. Dopo il sopralluogo, uno di loro ha dichiarato all'agenzia Reuters di voler vivere liberamente nel Paese d'origine, non in un altro campo profughi.

Le organizzazioni per i diritti umani sono piuttosto critiche rispetto a questo progetto. L'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR scrive che le condizioni nella provincia «non sono favorevoli per un rientro sostenibile dei rifugiati».

Attualmente il Bangladesh sta trasferendo una parte dei profughi sull'isola di Bhasan Char, che si trova a diverse ore dalla terraferma. Lo Stato vi ha costruito una città di baracche in grado di ospitare fino a 400 000 persone. Il reinsediamento è in corso da diversi mesi. Le infrastrutture di Bhasan Char sono migliori di quelle nei campi profughi di Cox's Bazar. Le abitazioni sono costruite in cemento, sono robuste e ci sono piccole opportunità di guadagnarsi da vivere sull'isola, inclusa la possibilità di coltivare dei piccoli appezzamenti. Tuttavia, gli abitanti sono intrappolati in mezzo al mare e possono lasciare l'isola solo per visite autorizzate ai loro familiari. Le organizzazioni per i diritti umani hanno criticato più volte il trasferimento sull'isola, dove le ONG internazionali non operano. Durante la nostra visita dell'anno scorso, diversi rohingya ci hanno consegnato segretamente delle lettere in cui chiedevano aiuto.

In Bangladesh si ha la netta sensazione che il governo voglia sbarazzarsi il prima possibile dei rifugiati. A causa della crisi pandemica, la ripresa economica degli ultimi anni ha subìto una battuta di arresto e l'anno scorso il Bangladesh ha chiesto aiuto al Fondo monetario internazionale. I tagli del governo si traducono in frequenti interruzioni della fornitura di energia elettrica e nell'aumento dei prezzi del carburante. Alla fine dell'anno si terranno le elezioni in Bangladesh. Ci sono già molte proteste di piazza in cui la gente esprime il proprio malcontento nei confronti della prima ministra. I rohingya rischiano di trovarsi tra due fuochi, intrappolati in un Paese afflitto da innumerevoli problemi.

di Andreas Babst, corrispondente della Neue Zürcher Zeitung per l'Asia meridionale a Delhi